Il moschetto, evoluzione diretta dell’archibugio, si afferma nel corso del XVII secolo sui campi di battaglia europei. Mantiene inizialmente il medesimo meccanismo di sparo a miccia, ma presenta miglioramenti significativi: una canna più lunga per maggiore gittata e una calciatura sagomata, che consente di appoggiarlo alla spalla per una mira più precisa. Rispetto al suo antesignano pertanto, il Moschetto inizia ad introdurre il concetto di una mira più accurata, e non di semplicemente "sparare avanti".
Nel Seicento compaiono due varianti di acciarino: quello a miccia, semplice ed economico, e quello a ruota, più sofisticato e costoso. L'acciarino a ruota, pur permettendo di eliminare la miccia accesa, era complesso da costruire e difficile da riparare, rendendolo un oggetto di lusso per la nobiltà. Al contrario, il moschetto a miccia restò l’arma principale dei soldati semplici. Con l’invenzione dell’acciarino a pietra focaia, il termine "moschetto" verrà progressivamente sostituito da "fucile", oggi usato comunemente per indicare le armi lunghe.
Nel XX secolo il termine "moschetto automatico" è stato usato per indicare il mitra, riflettendo l’evoluzione continua delle armi da fuoco. Tuttavia, per una terminologia storicamente e tecnicamente corretta, il termine moschetto dovrebbe riferirsi all’arma lunga tipica dei secoli XVI e XVII: un’arma ad avancarica, di grosso calibro, canna lunga e liscia, calciatura sagomata, con acciarino a miccia o a ruota. Il termine fucile andrebbe invece riservato alle armi successive, dotate di acciarino a pietra focaia.
Il moschetto a miccia richiedeva una procedura di sparo complessa, che imponeva un addestramento rigoroso dei moschettieri per coordinare le operazioni e ottimizzare i tempi di caricamento, specialmente in battaglia. La gittata utile era limitata a circa 50 metri, a causa del grosso calibro e del peso del proiettile. Un difetto importante era la miccia accesa, che rendeva il tiratore visibile al buio e inadatto ad azioni notturne. Tuttavia, il moschetto a miccia era più affidabile del più sofisticato ma delicato moschetto a ruota, ed è stato superato solo con l’arrivo del più efficiente fucile a pietra focaia nel XVIII secolo. Nonostante i limiti tecnici, il moschetto rappresentò una svolta fondamentale nel modo di combattere, aprendo la strada all’evoluzione delle armi da fuoco fino ai giorni nostri.
Per mettere un Moschetto a miccia in condizioni di sparare, occorrono quattro fasi:
1) Si versano la polvere ed eventualmente la borra nella canna, dopodichè si introduce la "palla" di Piombo (che all' occorrenza, ed in caso di emergenza veniva sostituita da un sasso, il più possibile sferico e liscio). Si pigia il tutto con attenzione, con la bacchetta "battipalla".
2) Si "arma" il Serpentino, e si estrae lo spillone dal "foro focone". Si versa una adeguata quantità di polvere da innesco nella apposita conchetta. Si richiude lo sportellino sulla conchetta, allo scopo di proteggere la polvere da eventuali scintille (che produrrebbero lo sparo anzitempo).
3) Si innesta la miccia (accesa) sul serpentino. Solitamente, quest' ultimo è dotato di un galletto a vite, con il quale si può stringere la miccia per bloccarla con sicurezza.
4) Il Moschetto è pronto per sparare. Si punta l' arma verso il bersaglio, si apre lo sportellino che protegge la polvere, ed all' ordine del Sergente si preme il grilletto, facendo fuoco.
Con l’introduzione di archibugi e moschetti nei campi di battaglia nacque una nuova figura militare: il moschettiere, specializzato nel colpire il nemico a distanza, piuttosto che nel corpo a corpo. Per garantire agilità e precisione, rinunciava a corazze pesanti, privilegiando un equipaggiamento leggero e funzionale. Elemento distintivo era la bandoliera, una tracolla da cui pendevano dodici contenitori di polvere da sparo, detti “apostoli”, a cui i moschettieri rivolgevano simbolicamente una preghiera prima dello scontro. Completavano l’equipaggiamento: polvere d’innesco, palle o sassi, miccia accesa custodita in un contenitore traforato, acciarino e bacchetta battipalla.
La vera efficacia del moschettiere, però, si rivelava nella potenza di fuoco collettiva: la coordinazione di decine di soldati che sparavano simultaneamente costituiva una forza devastante. Questo portò alla nascita di reggimenti sempre più disciplinati, armati ed addestrati secondo strategie moderne.
"Espana mi natura
Italia mi ventura
Flandes mi sepultura"
La Spagna mi ha dato i natali, l'Italia (sede delle più rimpiante guarnigioni) mi ha arruolato, le Fiandre mi hanno sepolto.
L’unità di combattimento che contraddistinse l’esercito spagnolo dalla metà del XVI secolo alla prima metà del XVII secolo fu il “Tercio” (Terzo in Italiano), composto teoricamente da 3000 soldati, e che mescolava picchieri, archibugieri e moschettieri.
I Picchieri erano armati di lunghe lance, fino a 5 metri, gli archibugieri ed i moschettieri di diverse armi da fuoco. La funzione dei picchieri era quella sia di difendere le altre due componenti durante i processi di ricarica, assai lunghi e laboriosi, sia di fungere da forza di sfondamento durante gli scontri di massa, come nell’antichità facevano le falangi macedoni.
Il tercio era conosciuto anche come il “Quadrato Spagnolo”, per la specifica forma della sua formazione, composta da un solido quadrato di picche centrali, con agli angoli quattro quadrati composti da archibugieri e fronteggiato dalla formazione quasi in linea dei moschettieri. Si riprendevano così forme classiche delle formazioni medievali di battaglia, sperimentate nel XIII secolo dai Comuni italiani, e migliorate quindi dai famosi picchieri svizzeri, potenziandole però con l’introduzione delle armi da fuoco. Le formazioni laterali di archibugieri erano chiamate “Mangas”.
In queste formazioni si sparava per linea e quindi, dopo aver sparato, l‘archibugiere si ritirava nell’ultima fila per ricaricare, avanzando nella propria colonna, man mano che venivano completate le operazioni di preparazione dell’arma, e trovandosi quindi di fronte al nemico quando era pronto a sparare. Il quadrato centrale era costituito picchieri, detti “Corsaletos”, “Corsaletti” perché indossavano, o avrebbero dovuto indossare, la corazzetta sul petto. In realtà la dotazione reale dei fanti dei tercios si distaccava dalla teoria: raramente gli effettivi raggiungevano le 3000 unità, spesso si attestavano sui 1500, come accadde al tercio di Lombardia e di Napoli durante le guerre di Fiandre.
Il Nome ufficiale del Tercio di Lombardia era "Tercio Ordinario del estado de Milan". La decadenza del Tercio iniziò alla fine della Guerra dei Trent’Anni, quando le disposizioni “In Linea”, che mettevano in luce la capacità di fuoco del reparto piuttosto che la possibilità di sfondamento diretto iniziarono ad andare in crisi. Quindi il diffondersi delle baionette rese la distinzione picchieri/moschettieri superata. Il canto del cigno del Tercio fu la battaglia di Rocroi, nel 1643.
Poesia, in spagnolo, scritta da un soldato del Tercio che parte per le Fiandre a cercar gloria, ma abbandonando la sua dama:
"Monna Laura, señora mía
no quisiera haceros llorar;
Monna Laura, al rayar el día
mi Tercio se va a pelear.
Con los pífanos y atambores
que al frente lleva el Tercio Real
le irán haciendo a tus amores
un responsorio funeral.
Quizá en las torres de Gaeta
o en las murallas de Milán
se termine la vida inquieta
de tu aventurero galán.
Acaso voy hacia la Historia
o acaso voy hacia la muerte;
pero bien me cuesta la gloria
el duro precio de perderte."