Nel XIII e XIV secolo, la cucina medievale rifletteva una forte distinzione sociale, con notevoli differenze tra l’alimentazione dei ceti popolari e quella delle élite nobiliari. Nelle campagne, la dieta era basata su cereali come orzo, segale e farro, spesso consumati sotto forma di pane scuro, zuppe e pappine, accompagnati da legumi, verdure e occasionalmente formaggi o uova.
La carne era rara per i contadini, mentre i nobili ne facevano largo uso, spesso cucinata con abbondanti spezie importate, come pepe, zenzero e cannella, simboli di prestigio e ricchezza. I banchetti aristocratici erano eventi teatrali, con portate scenografiche e l’uso di salse agrodolci, secondo la moda della “cucina speziata” di derivazione araba e bizantina. La cucina del tempo era profondamente influenzata dalla teoria medica dei quattro umori, che regolava l’associazione dei cibi secondo criteri di equilibrio tra caldo, freddo, secco e umido.
La cucina da campo era essenziale, pratica e adattata alle esigenze della vita itinerante, in particolare per soldati, mercenari e corti in movimento.
Il fulcro era il fuoco vivo, attorno al quale si disponevano pentole sospese su treppiedi in ferro ideali per bollire minestre, zuppe o stufati. Le braci erano contenute in bracieri metallici, e le pentole erano tenute sospese tramite catene regolabili. Questo sistema permetteva di controllare la temperatura durante la cottura. Lo spazio è mobile e modulare, adatto a essere allestito rapidamente nei bivacchi militari o in occasione di fiere e campagne.
Il soldato medievale consumava pasti semplici e sostanziosi: zuppe di legumi (lenticchie, fave, ceci), pottage di cereali come il farro o la segale, spesso arricchiti con ortaggi (cipolla, porri, cavoli) e, quando disponibile, un po’ di pancetta o lardo. Il pane era duro, nero o raffermo, e veniva usato anche come piatto commestibile (la “trinciera”). La carne era rara e spesso salata o affumicata per conservarla. Il tutto accompagnato da acqua, birra debole o vino allungato.
Era fondamentale portarsi dietro una cucina durante le campagne militari perchè spesso non ci si portava il pane (che era l'alimento principale) perchè non perdurava nel tempo ma, ci si portava la farina necessaria per prepararlo.
Le ricette del tempo erano influenzate dalla disponibilità locale e dalla stagione. Tra le più diffuse c’erano il brodo speziato di gallina, la zuppa di cipolle con pane tostato, o il pottage di piselli, che si adattava bene alla cucina da campo. Nei ricettari del tempo, come il Liber de Coquina o il Libro della cucina del secolo XIV, troviamo anche preparazioni più elaborate, ma sempre pensate secondo la teoria degli umori, cercando l’equilibrio tra ingredienti “caldi” e “freddi”, “umidi” e “secchi”.
Le ricette medievali ci sono giunte grazie a una combinazione di tradizione orale e manoscritti redatti in ambienti monastici o presso le corti. Uno dei primi e più importanti ricettari è il "Liber de Coquina" (inizio XIV secolo), che raccoglie preparazioni destinate a cuochi di corte. Le ricette erano spesso complesse, con largo uso di spezie e un’attenzione medica alla natura degli alimenti, secondo la teoria dei quattro umori.
Un personaggio fondamentale in questo contesto è Ildegarda di Bingen (1098–1179), monaca benedettina, mistica e naturalista tedesca, che non scrisse un vero e proprio ricettario, ma nelle sue opere come Physica e Causae et Curae raccolse numerosi consigli su alimenti, erbe e spezie, sottolineando le loro proprietà terapeutiche. Ildegarda suggeriva ad esempio l’uso del farro come cereale più sano, e promuoveva l’uso moderato di vino speziato e verdure cotte. La sua visione univa alimentazione, spiritualità e salute in modo molto moderno per il suo tempo, influenzando la cucina monastica per secoli.
L'idromele è la bevanda fermentata più antica in assoluto, prodotta anche dai Celti che la chiamano "mead", si consumava durante matrimoni perchè si riteneva che stimolasse la virilità e la fertilità.
2 kg di miele (es: gusto amaro: miele di castagno, millefoglie o agrumi)
3 lt di acqua (meglio di fonte)
tè nero (Prince of Wales)
lievito da enologia, SB (Saccharaomyces Cerevisiae Bayanus) (Non usate il lievito di birra!)
1 dama da 5lt et un buon tappo gorgogliatore.
Quando il lievito si moltiplica (per il processo di fermentazione produce macchie bianche e la mistura di acqua e miele è a temperatura ambiente va versata nella dama assieme alla tazza di tè.
Chiudere con il tappo gorgogliatore e mettere al buio per tre mesi.
Dopo un mese di può eseguire la prima filtratura leggera e riporre per almeno altri due mesi.
Infine si imbottiglia con una filtratura stretta, (carta o stoffa) per avere bottiglie limpide.